CARTA
|
SENSIBILI
VISIONI 2020
La carta come
medium di
comunicazione,
fragile e
resistente, come
ognuno di noi.
Le immagini sono
architetture
stilizzate,
dimore, simboli
ricorrenti nel
mio fare in
arte, che qui
hanno assunto un
nuovo
significato.
Nelle settimane
appena trascorse
abbiamo fatto
esperienza di
qualcosa che,
fino a pochi
mesi fa, era
inimmaginabile.
La pandemia,
l’isolamento
sono diventati
aspetti
quotidiani della
nostra esistenza
per diversi
mesi.
La nostra dimora
se da un lato è
stata cella,
prigione,
dall’altro è
stata culla,
salvezza, ecc.
Nelle nostre
case abbiamo
avuto modo e
tempo per noi
per i nostri
cari, per
coltivare i
nostri pensieri
e per
abbandonarci
alla nostra
creatività.
Le finestre
delle nostre
case sono
diventate il
prolungamento
visivo e fisico
per andare oltre
con lo sguardo e
con la nostra
creatività. Ci
hanno mostrato
che ciò che
credevamo
provvisorio non
lo è forse come
immaginiamo, e
che quello che
pensavamo
stabile è invece
più fragile di
quanto
credevamo.
La pandemia ha
interrogato il
mio immaginario
e la mia
comprensione.
Con
l'immaginario ho
discreta
domestichezza e
questa ricerca
ne è un frutto
con la
comprensione mi
accorgo di aver
ancora molta
strada da fare.
Dedico questa ricerca creativa a chi, come me, vive il quotidiano, ora come sempre, incerto
Installazione
"VISIBILI
VISIONI" 2020
“Corpi abitati”
2012
Sculture di
carta di Sandra
Baruzzi
Mostra d’Arte
Contemporanea
Per
Sandra Baruzzi
il corpo è
innanzi tutto un
luogo, la dimora
per eccellenza:
la casa dei
nostri
sentimenti,
l’abitazione
delle nostre
passioni e dei
nostri pensieri.
Le sculture sono
invase da luci
ed ombre;
contenitori di
conflitti e
d’armonie,
d’odio e
d’amore.
La Baruzzi immortala e
impacchetta
dentro questi
fogli di carta
il dettaglio o
l’insieme del
corpo femminile, i
movimenti
dell’interiorità,
i moti
dell’anima. Le
sculture si
gonfiano, si
assottigliano,
si curvano,
prendono volume,
invadono e sono
invase, abitano
e sono abitate.
Fogli di carta
sublimati,
piegati,
ripiegati,
dispiegati che
porgono immagini
contemporanee ed
attuali, opere
d’arte per dar
forma ed
emozione, per
uscire
dall’oscurità e
s-velare.
Nulla
è come appare.
Forse.
|
Mondi di carta, micromondi amniotico-spaziali
dove lo spazio è
per un corpo
solo.
Come depositato.
Alla deriva.
Quasi un teatro:
in scena, solo
un corpo; muto.
Un'isola.
Banale e
quotidiana
meraviglia.
Stupore nostro,
nel (ri)trovarlo
questo corpo,
come di animale:
scoperto,
svelato,
guardato.
Isolato e in
solitudine.
Studiato
talvolta da
entomologo
crudele, che
immobilizza, o
da esploratore
colonialista a
caccia di trofei
e di esotico.
Che il corpo è
territorio di
conquista.
Scenario
dell'intrusione
e della
violenza, dello
sguardo che
fruga,
s'incunea, ruba
e mette a nudo.
Solo un corpo,
niente di più e
niente di meno,
racchiuso
rannicchiato
indifeso
protetto; tenuto
al caldo e
mostrato da un
paesaggio-tana
di carta. Allo
stesso tempo,
questo
foglio-nido, è
velo opaco e
schermo
trasparente. In
bilico,
combattuto tra
dono e
occultamento.
Piegare la carta
è progetto
preciso e
infallibile,
complicato,
mnemonico, che
presuppone
controllo e
certezza di
risultato.
Geometrica
esattezza di
esecuzione,
spietata, che
chiude, incastra
e non lascia
scampo. Che i
lembi debbono
combaciare,
sempre. L'errore
qui, non è
contemplato.
Scultura di
carta è però
anche gioco da
bambini, gesto
ripetuto e
meccanico,
onnipotente,
magico e
rituale, dove il
foglio può
diventare casa,
nascondiglio,
prigione, tana e
letto. Passaggi
segreti e snodi
che portano a
forme;
reiterazioni e
varianti.
Porticina per
mondi
sconfinati. In
miniatura. Carta
che si
stropiccia e si
piega a creare
anfratti,
montagne e
avvallamenti.
Sorgenti, rivoli
e fiumiciattoli
a scendere,
freschi da
immaginare,
creste taglienti
da scalare,
disegno di
vento, pioggia e
neve sulle
pareti ora lisce
e levigate, ora
ruvide e
increspate.
Superfici
assolate. Muschi
e licheni.
Ruggini. Pagine
imperfette. Con
mutazioni in
atto.
Paesaggi
labirinti,
cortocircuiti di
paesaggi, ora di
carta ora di
corpi. Una
questione di
pelle comunque.
Una mappa, un
atlante,
un'impronta
digitale che sta
per il tutto e
che tutto
contiene.
Origami
improbabili,
trattenuti
pensati,
galleggianti
nella mente,
sospesi tra
occhio e mano;
pagine
strappate, libri
d'amore esplosi
abbandonati
accartocciati,
che sembrano
riconsegnarci
una sequenza
spezzata,
dolorosa
frattura di
dettagli arcaici
e ancestrali,
misteriosi solo
come può esserlo
un corpo amato.
Familiare e
sconosciuto.
Straniero
addomesticato
dagli affetti;
compreso solo in
parte.
Senza tempo e
pienamente del
tempo. Di
saggezza
superiore, che
non sa dire e
fare.
Contemplante e
in attesa. Di
vecchio e
bambino.
Chi sei, da dove
vieni, cosa è
successo, qual è
la tua storia?
Credo si tratti,
segretamente, di
un invito a
ricostruire, a
ritessere un
ordito e trama
di narrazione
mancante e
perduta. Un
cucire la
memoria, che
collega e
riannoda fili.
Una preghiera
scagliata contro
all'amnesia
opaca e
soffocante, o
sotterrata come
segreto.
Preziosa
riconsegna di un
ricordo,
ritrovamento
casuale, chiave
per accedere ad
un racconto
necessario come
l'acqua e
l'aria; parola
voce che scalda
il cuore.
Pianto. Un
abbraccio a
venire. Richiamo
antico.
Incendio.
Con durezza di
piega e di linea
retta che non
esiste in
natura. Una
battaglia forse,
tra laboriosa
volontà di
costruzione e
ordine
dell'uomo, e una
natura, madre
terra, che si
riprende le
cose, le
richiama a se,
ripopolandole di
nuovi
significati;
morte compresa.
Schiacciante.
Dentro, avvolta
come bozzolo,
come un cuore
caldo e
pulsante, sta la
figura, più
morbida e di
curve; in uno
spazio uovo, in
una
cella-vetrina
artificiale e
moltiplicabile,
che funziona un
po' come
incubatrice o
acquario, un po'
come messaggio
nella bottiglia,
lanciato trovato
tenuto e
salvato.
Una promessa
muta.
Sigillo, di
latte e sangue.
Nero bianco
rosso ocra. Un
graffito
rupestre che,
avventuroso, ha
superato i
secoli. Una
proiezione sulla
volta interna
del cranio. Nel
ventre.
Qualcosa che ha
a che fare con
il tempo e la
nascita, un
tempo circolare,
una trama
ininterrotta,
una
stratificazione
che collega i
morti ai vivi e
a chi non è
ancora nato, che
avvicina e
sovrappone i
primi uomini a
quelli biotech e
igienici ancora
a venire.
Nonostante tutto
stesse pose,
stesse pieghe
della pelle,
stessa sorpresa
e ritirarsi,
stessa offerta
di sé e
pudori... forse
stessi
sentimenti,
pensieri e
paure. Stessi
fallimenti e
capacità di
rialzarsi, di
recuperare la
postura eretta,
faticosa, che
talvolta, per
troppo peso,
sembra non
appartenergli
più. Grammatica
gravitazionale.
Legge.
O forse è del
riposo, scatto
fotografico,
privato, rapito
dolcemente nel
sonno o
dormiveglia,
quando i muscoli
si distendono e
rilassano. Di
certo un
passaggio, che
implica
metamorfosi e
movimento. Che
qui la stasi è
condizione
temporanea.
Incantata.
Un eco che però,
perchè iscritto
e tatuato nel e
col corpo
femminile,
sembra ancora
capace di
sopravvivenza e
di meraviglia
del mondo, di
cura e ferita
fertili, di un
tempo più
comprensibile e
pieno, vicino e
in ascolto della
natura, che ci
attraversa.
Scorrere delle
stagioni e
consapevolezze;
animali,
vegetali,
minerali.
Immagini capaci
di generare e
rinnovare.
Biologia che ci
supera e che
l'arte continua
a rincorrere,
inseguire ed
imitare;
entrambe
rispondenti al
tempo. Bellezza,
parola
problematica,
abusata e quasi
indicibile per
vaghezza ed
usura: chiamata,
coraggiosamente,
a rifare il
mondo. Che
l'arte ha
probabilmente
ancora bisogno
del sacro, più
che di politica,
e di ciò che non
può comprendere
e che ci supera.
Senza dare
pretendere
risposte, ma
rilanciando
domande,
all'uomo e al
cielo (chiunque
si pensi lo
abiti).
Arte che unisce,
collega e
congiunge,
piuttosto che
creare fratture.
Tenere insieme
linguaggi
differenti è
un'alchimia. Un
esercizio di
equilibrio,
pericoloso e
spavaldo perché
esposto a venti
e raffiche che
cambiano
improvvisamente
direzione.
Esperimenti,
modi di carta:
la carta è
trattata con
modalità
sapienti che la
trasformano in
scultura,
scultura lieve,
precaria,
fragile. Capace
di abbracciare
lo spazio, di
gettarsi in esso
con sospensioni
e soluzioni
ardite. Di
appoggiarsi come
farfalla. Con
grazia e
stupore. Della
leggerezza, il
cui controcanto
è rappresentato
dall'immagine
che custodisce
dentro, piena e
densa.
Solido reperto
facilmente
distruttibile e
per questo
potente e
commovente.
Facciate
marmoree,
scintillanti ed
esatte, che
prendono luce,
spigoli e
rientranze
perennemente
ombrose, di poca
luce come
vallata o stanza
con piccola
finestra. Una
stanza anima. Un
abitante,
interno e
fetale, pesante,
di carne nervi
ossa, nuovo e
ben fatto.
Una carta
lenzuolo,
sudario,
coperta,
ghiaccio che
copre e
preserva. Pietra
preziosa. Con
gemma dentro:
femminile. Con
immagine
impressa;
bruciante
stendardo che
reca figura
sospesa tra
archeologia e
tecnologia, tra
passato e
futuro, tra ciò
che è stato e
ciò che è ancora
a venire.
Fossile.
Fragilità che è
dei corpi e
della
superficie, resa
ancora più
evidente ed
esposta da una
pratica
non-finita, che
non chiude,
lasciando la
forma aperta,
accennata,
possibile ed
inespressa,
quasi congelata
cristallizzata
nell'attimo
stesso del
ritrovamento,
antica e
preziosa mappa
dove il tesoro è
canzone d'amore
e desiderio. Che
forse non cambia
il mondo certo,
ma muove e
consola.
Modalità di
costruzione
precisa,
archittettonico-matematica
che, ad un certo
punto, per
scarto
improvviso,
abbandona,
lascia e si
affida
coraggiosa
all'incompiuto,
al ripensamento
che porta a
ritroso, allo
svelamento. Al
dispiegare e
dispiegarsi del
tempo. Che
distende,
liscia, spiega e
appiana.
All'usura che
sbiadisce e
ammorbidisce,
all'arsura che
secca, come
piega-cicatrice
di cartina
geografica.
Foglio di carta
liso; morbido e
con scrittura
corrosa,
slavata,
mancante. Come
abito
stropicciato,
gettato,
lasciato cadere
a terra, con
ancora il
profumo della
sera prima.
Scampolo
imbevuto nel
gesso.
Panneggio che
raccoglie
polvere, che
porta immagini e
storie. Concavo
e convesso.
Straccio di
Venere che
contiene
disegno, per
alcuni
decorazione, per
altri simbolo.
Frammento che a
sua volta
conserva
frammento, piega
di carta che
tiene piega di
pelle. Una sorta
di verginità,
restituita
attraverso un
fare artigianale
che è fare
domestico,
paziente, di
cura quotidiana;
con dentro
ribellione
segreta,
scandita e
silenziosa,
fatta di riti
medicamentosi,
che forse
possono,
talvolta,
rovesciare il
destino.
Di carezza
trattenuta
sospesa, quasi
per paura di
fare male.
|